Che cos'è la sindrome di Stoccolma e perché se ne parla nel caso di Silvia Romano

Che cosa hanno in comune una rapina in banca del 1973, un
duplice sequestro a Baghdad nel 2008 e un rapimento in Somalia nel 2018? Poco,
se non il fatto che in tutti e tre i casi si è parlato di 'sindrome di
Stoccolma'.
Anzi il primo caso, la presa di ostaggi alla Norrmalms
Kreditbanken nella capitale svedese, diede addirittura il nome allo
stato psicologico osservato dal criminologo e psicologo Nils Bejerot,
collaboratore della polizia durante la rapina, nel comportamento di tre donne e
un uomo che dopo essere stati nelle mani dei sequestratori per 6
giorni difesero i loro carcerieri e mostrarono un comportamento reticente
prima dell'inizio del processo. Si disse addirittura che una delle
donne si fosse fidanzata con uno dei rapitori.
Il termine fu coniato da Conrad Hassel, agente speciale
dell’FBI e ora viene usato per definire il rapporto di complicità che
si sviluppa tra la vittima di sequestro e il suo rapitore.
Se ne è parlato anche per il caso di Silvia Romano, da
quando è emersa la notizia, confermata poi dalla stessa ragazza liberata il 9
maggio in Somalia, della conversione all'Islam. Fonti investigative non
escludono possa "trattarsi di una situazione psicologica legata al
contesto in cui la ragazza ha vissuto in questi 18 mesi, non necessariamente
destinata a durare nel tempo". La sindrome di Stoccolma, per l'appunto.
Le stesse fonti ricordano che "ci sono stati altri casi
in passato" e il riferimento sembra essere a Simona Pari e Simona
Torretta, le due cooperanti della Ong 'Un ponte per' che il 28 agosto 2004 - un
anno dopo l'invasione americana del'Iraq - furono rapite a Baghdad. Il
sequestro durò un mese: il 28 settembre le due furono rilasciate e intorno alla
loro liberazione divamparono le polemiche: quando le due
ventinovenni sostennero di non vedere l’ora di poter ritornare
lì dove erano state rapite e ringraziarono più i loro carcerieri che
le autorità che avevano ottenuto la loro liberazione. Annche
allora si parlò di sindrome di Stoccolma
Secondo Bejerot, la Sindrome di Stoccolma è più
comune nelle persone che sono state vittime di un qualche tipo di abuso, come
nel caso di: ostaggi, membri di una setta, abuso psicologico dei bambini,
prigionieri di guerra, prostitute, i prigionieri nei campi di concentramento,
vittime di incesto e violenza domestica. Ma è più facile a insorgere quando la
detenzione non è associata alla violenza, come percosse e stupro.
La perdita totale del controllo che subisce
l'ostaggio nel corso di un sequestro di persona è difficile da gestire. Essa
diventa sopportabile quando la vittima s'identifica con i motivi del
colpevole.
Oggi viene associata alla Sindrome da stress post-traumatico
e per questo trattato con farmaci e psicoterapia, Può durare qualche anno e
anche quando è superato può lasciare strascichi come disturbi
del sonno, incubi, fobie, trasalimenti improvvisi, flashback
e depressione.
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