Silvia Romano: la conversione e il significato del nome Aisha
In arabo significa 'madre dei credenti': sposa di Maometto, è stata simbolo delle femministe saudite
“Mi sono convertita: ora mi chiamo Aisha“.
Il giorno successivo alla liberazione e al rientro in Italia di Silvia Roma l’attenzione si è focalizzata sulle sue prime indiscrezioni riguardanti la
conversione e la scelta del nuovo nome. Ma che cosa significa Aisha?“Mi sono convertita: ora mi chiamo Aisha“.
A’isha bint Abi Bakr era la figlia di Abu Bakr,
uno dei capi principali della prima comunità musulmana e primo califfo
dell’Islam.
In arabo, Aisha significa ‘madre dei credenti‘.
È stata la più importante sposa del profeta Maometto,
anche se sull’età al momento del fidanzamento e delle nozze è ancora oggetto di
dibattito tra gli studiosi: secondo alcuni fu promessa in sposa al Profeta a 6
anni, secondo altri a 9 anni. Non è chiaro quanti anni avesse
Aisha al momento della consumazione del rapporto (si oscilla dai 9 ai 15 anni).
Tutti però concordano nel ritenerla una donna influente,
una vera e propria leader politica: al fianco del
marito anche quando c’era da negoziare un trattato.
Dopo la morte di Maometto,
Aisha divenne un fondamentale punto di riferimento per
le successive generazioni di musulmani.
Aisha e l’odio degli sciiti
Da una parte i sunniti di Aisha, dall’altra gli sciiti di
Ali, cugino e genero di Maometto. Questa divisione rende Aisha un
personaggio odiato ancora oggi dagli sciiti. Nonostante negli
ultimi anni della sua vita (è morta quando ne aveva 62) si era riconciliata con
il rivale.
Oggi Aisha è spesso citata da fronti opposti: c’è chi
si richiama a lei per difendere la pratica delle spose bambine,
ma è stata anche simbolo delle femministe saudite che
l’hanno spesso citata per ottenere il diritto a condurre l’automobile,
ricordando che a lei veniva permesso di ‘guidare’ il cammello.
La conversione spiegata da Padre Antonio, missionario in
Kenya
Padre Antonio Albanese ha 61 anni ed è
stato per molto tempo in Kenya. Al Corriere della Sera ha parlato della
conversione di Silvia Romano: “Prima di stupirsi, ci si dovrebbe rendere conto
di che cosa significhi finire nelle mani di Al Shabaab“.
Secondo lui, infatti, “è l’equivalente di Boko Haram in
Nigeria. Gente che te ne fa di cotte e di crude. Chi conosce la tradizione
spirituale e mentale di questa ragazza? Scrivono che forse è incinta, che ci ha
offeso presentandosi vestita
così, che ‘abbiamo pagato per una musulmana’. Direi che sia il caso
d’astenersi da ogni giudizio”.
Albanese sottolinea come non ci si possa esprimere senza
sapere “quali siano le condizioni spirituali e mentali di una giovane che sopravvive
a un anno e mezzo con gente che ti può far fuori. Non sappiamo quanto sia stata
libera. Leggo che si parla di sindrome di Stoccolma. Ma è prematuro. Chi spara
giudizi con tanta leggerezza, non sa che cosa sia vivere in Somalia. Un Paese
che dal 1991 è in uno stato spaventoso”.
“L’Islam fanatico – aggiunge – ti spinge a uno scambio: la
tua conversione in cambio della tua vita. Ne ho conosciuti tanti, di
‘convertiti’. Ho scritto anche un libro sui bambini costretti a combattere, sul
lavaggio del cervello che subiscono. Ho visto il sorriso di Silvia,
all’aeroporto di Ciampino. Ma quel sorriso non mi dice nulla. Non mi convince.
C’è sotto qualcosa di molto più complesso. Io una volta sono stato sequestrato
solo pochi giorni, e mi sono bastati per capire come si esca con le ossa rotte,
da quelle esperienze. Ti puntano il fucile: o ti converti, o ti
ammazzano. Non è una vacanza alle Maldive”.
Silvia Romano, il diario è rimasto nelle mani dei
rapitori
È rimasto nelle mani dei rapitori il diario su
cui Silvia Romano descriveva i giorni della sua prigionia
in Somalia. Lo rende noto l’Ansa.
In base agli elementi forniti dalla giovane nel corso del
colloquio con gli inquirenti, durato oltre 4 ore, la ragazza è stata tenuta in
ostaggio sempre dallo stesso gruppo terroristico islamista
Al Shabaab dopo essere stata ceduta dal commando armato formato da otto persone
che l’aveva prelevata in un centro commerciale in Kenya nel novembre del 2018.
Silvia Romano, la svolta a Roma lo scorso luglio: la
ricostruzione dei media in Kenya
Il più diffuso giornale keniano, il Daily Nation,
ha individuato il momento che ha “spianato la strada” alla liberazione di
Silvia Romano: risalirebbe a un incontro fra inquirenti, avvenuto a Roma nel
luglio 2019, che avrebbe contribuito alla formazione di una squadra
investigativa congiunta italo-keniana.
In quell’incontro, secondo il quotidiano africano, si sarebbe
deciso “che una squadra speciale di polizia antiterrorismo da Roma sarebbe
andata in Kenya per aiutare nelle indagini, che sarebbero rimaste nelle mani
della procura locale”.
Sarebbe stata proprio questa squadra a scoprire che Silvia
Romano era stata portata in Somalia.
Nell’articolo si sostiene che “una combinazione di errori e
ritardi da parte del governo keniano nelle ore successive al rapimento della
Romano hanno consentito ai sequestratori di raggiungere Garissa prima di
entrare in Somalia”.
La polizia sarebbe arrivata sul posto “due ore dopo il
fatto”, mentre le ricerche sarebbero partite solo “il giorno dopo a
mezzogiorno”.
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