Si parta dal fallimento della Lombardia per ricostruire la sanità italiana
In quarant'anni demoliti i servizi socio-sanitari territoriali. In Lombardia si è aggiunta la privatizzazione del sistema sanitario. Risultato: è stata indebolita la capacità di risposta all'epidemia
L’emergenza coronavirus ha evidenziato il crollo di un’eccellenza italiana (o, almeno tale era fino a poco tempo fa): il modello sanitario lombardo. Lo hanno sancito, tra le altre, le parole del direttore dell’Istituto di Scienze Biomediche all’ospedale Sacco di Milano, Massimo Galli, che lo scorso 8 aprile ad Agorà Rai ha dichiarato «c’è stato un clamoroso fallimento, e di questo ne dovremo prendere atto per il futuro, della medicina territoriale».
Lo ha ribadito Vittorio Agnoletto, medico del lavoro, impegnato sul territorio, già consulente dell’Istituto Superiore di Sanità e della Commissione Nazionale per la Lotta contro l’Aids per il ministero della Salute (fino al 2001). Che ha rincarato la dose, aggiungendo, tra le responsabilità, la privatizzazione del sistema sanitario lombardo: «Le cause principali, che ci hanno impedito di reggere all’onda d’urto del coronavirus – spiega Vittorio Agnoletto – vanno ricercate proprio nell’abbandono dell’assistenza territoriale e nella privatizzazione della sanità lombarda».
E non è tutto. «Non si è colta quella che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito “finestra di opportunità”», ribadisce Agnoletto: la cosiddetta Window of opportunity, cioè, il tempo che sarebbe potuto servire a riorganizzare medici di base, ospedali e terapie intensive per contrastare l’altissima viralità del Covid-19 e bloccare i focolai. Almeno a partire dal 31 gennaio, il giorno della dichiarazione dello stato di emergenza sanitario nazionale e regionale.
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